martedì 15 luglio 2014

Turn Blue e il ritorno dei The Black Keys



Ho tentato di scrivere questo articolo probabilmente già tre volte, ma non mi soddisfava mai.
Sta notte, dopo una giornata di finalmente meritato riposo dopo mesi di studio incessante, non sapevo cosa ascoltare di preciso ma sapevo di volere della musica che sa un po' di legno e un po' di pietra, secca e chiara, a volte semplice.
Così accendo Spotify e mi sparo la radio… Franz Ferdinand, The Fratellis, The Kooks, Kasabian. Non era ancora quello che cercavo, nell’attesa di liberarmi dalle voci irritanti di qualche fastidiosa inserzione pubblicitaria, tentando di superare il muro dell’adv della versione free realizzo di aver bisogno di una musica da un retrogusto ferroso e arrugginito, e il collegamento viene praticamente automatico: The Black Keys. Così faccio partire Turn Blue, la cui cover vagamente mi ricorda Vol.4, il disco dei Black Sabbath su cui era stampato un cono che sale in forma di illusione ottica e non sarà la prima citazione che l’album mi farà venire alla mente.

Turn Blue è un’album in completo stile Black Keys, uscito come ottavo album della band il 13 maggio. Dopo tre anni di attesa, secondo alcuni Turn Blue non raggiunge i livelli di Brothers e de El Camino e potrebbe sembrare pesante, ma in realtà è un ritorno al blues greve profondo e desertico che li caratterizza con un'aggiunta di psychedelic rock. 
Fever è la canzone che ci ha contagiati, quella che ti fa dire al primo ascolto “Questi sono i The Black Keys”, quindi quella più commerciale, e che con la voce sempre al limite del depresso di Dan Auerbach ti coinvolge l’anima. Ma il pezzo veramente interessante, uno scalino sopra a tutti, è Weight of Love, 6 minuti e 51 di blues che, Cristo Santo, ci voleva e benedice il ritorno dei due musicisti.
Questo album non è infatti da ascoltare con leggerezza e di sottofondo alla vita, devi ascoltarlo in cuffia e dargli tutta la tua attenzione, è una serie di brani potenti ma che passano un po' tra gli spifferi delle porte, sottili si insinuano della tua testa senza troppa esuberanza e per questo potrebbero rischiare di essere sottovalutati.
Nonostante i Keys siano prevalentemente un duo, qui Brian Burton alias Danger Mouse, loro co-produttore diventa quasi un terzo componente, calcando i suoni aggiungendo questa spolverata fine anni '60 e rendendo questo un album dalla difficile recensione.
Sono stata molto interdetta, cos’è Turn Blue? Un ritorno al blues vero, come potrebbe dire il nome dell’album, oppure un rimescolamento di note già sentite?
Il dubbio sorge con Bullet In The Brain, il cui intro ricorda terribilmente il giro in Mi minore di Breathe dei Pink Floyd, ma in generale si riescono a riconoscere citazioni che vanno dai Genesis ai Beatles, Doors o Radiohead.
Ma del resto, cos’è il blues, se non un gran pentolone di suoni cavernosi che si intrecciano l’uno con l’altro fondendo la storia musicale per creare novità?  


Ecco, ora avrete modo di scegliere se schierarvi con quelli che adorano l’album, o quelli che non lo reputano più che sufficiente. 
Io invece resto nel mezzo. 
Attendo di ingranare bene il ritmo, impastarmi la bocca con i giri di basso e venerare questo disco. Perché in realtà un po’ già lo so che finirò per amarlo, come tutte le cose difficili che all’inizio, spesso per pigrizia, si accantonano in un angolo.
Chi disprezza compra, mi hanno detto.


Turn Blue